A cura della Fondazione Milano Policroma
Testo di Riccardo Tammaro
Discordi sono le fonti sull'origine di questo edificio, che si trova in
corso XXII marzo al civico 50, ed è ora sede della parrocchia del "Preziosissimo
Sangue di Gesù Cristo", ma che in passato era noto come "Senavra".
In questi articoli cercheremo di riassumere i dati relativi alla storia
dell'edificio e della conversione di esso in chiesa, avvenuta nello scorso
secolo, ed i cui risultati sono tuttora visibili.
Iniziamo dalle origini: alcune fonti fanno risalire la costruzione
dell'edificio al tardo medioevo; più precisamente al 1548, quando Ferrante
Gonzaga, governatore di Milano, avrebbe dato mandato al suo architetto
prediletto, Domenico Giunti (autore tra l'altro della splendida Villa
Simonetta, nella sua versione attuale), di costruire una villa di delizie
nella zona della strada per Monluè.
A partire dal 1567, poi, una schiera di nobili ed ecclesiastici avrebbe
occupato la villa, fino al 1695, data della chiusura dell'osteria in essa
ospitata, e dell'assegnazione del palazzo ai Gesuiti.
Le fonti accertate dicono invece di una costruzione, eseguita nel 1695,
su commissione dei Conti di Moriana, che in seguito (tre anni dopo), ne
avrebbero fatto dono ai Padri Gesuiti di Palazzo Brera, che qui tennero
per più di settant'anni una casa di esercizi spirituali.
Ciò viene testimoniato dall'Anselmi (1938), il quale, dopo aver
delegittimato tutte le tesi relative al passato dell'edificio riporta una fonte
storica in base alla quale «i gesuiti nel 1698 trasferironsi in altro vasto
fabbricato sorto fuori di Porta Vittoria e da loro chiamato "scena aurea"
come da un'iscrizione tuttora visibile in Cimiano».
Quale che sia l'origine dell'edificio, è solo dal 1695 che si hanno
notizie certe della costruzione, ed è perciò da qui che partiremo per il
nostro excursus storico.
Una tale incertezza sull'origine dell'edificio ha portato ad altrettanta incertezza per quanto riguarda l'origine del nome "Senavra". Dopo aver letto varie interpretazioni (da quella di derivazione da "senape", in milanese dell'epoca "sènavra", alquanto fantasiosa e basata su una pianta di senape che i Gesuiti avrebbero piantato ai piedi del costruendo edificio, a quella che farebbe derivare il nome da "Sinus Averanus", una palude che si trovava nelle vicinanze), pare che la versione più accreditata sia quella per cui il nome deriva dal citato "Scena Aurea", il nome che gli stessi gesuiti diedero al luogo in cui sorse l'edificio.
Con la temporanea soppressione della Compagnia di Gesù, avvenuta nel 1773,
i Gesuiti dovettero abbandonare il palazzo, che venne incamerato dal Governo
Austriaco, che decise di destinarlo a Manicomio.
Ecco allora che un dispaccio di Maria Teresa del 5 settembre 1780 lo fece
trasformare in ricovero per folli.
Un anno più tardi, esattamente durante la notte del 15
settembre 1781, mentre Milano dormiva sonni tranquilli, la Pia Casa della
Senavra apriva le sue porte alle urla strazianti e alle grida di disperazione
di poco più di un centinaio fra uomini e donne. La testa rasata, gli occhi
sgranati, le labbra in perpetuo movimento, il volto contratto da smorfie di
dolore, i pazzi della città si preparavano ad abitare quello che nella prima
metà dell'Ottocento sarebbe diventato il manicomio di Milano.
Inizialmente, però, la Senavra accoglieva non solo «i matti
e così detti pazzarelli d'ambi li sessi attualmente esistenti nell'Ospedale di
San Vincenzo», ma anche persone sorde, mute o cieche, oltre che i bambini con
malformazioni fisiche abbandonati dai genitori.
Costruito su tre piani, disponeva di una
grande cucina, di diverse dispense e ripostigli e larghi corridoi, ma mancava
di bagni, che furono costruiti, insieme ai laboratori, soltanto nei primi
decenni dell'Ottocento. Nel 1782, l'arciduca Ferdinando d'Austria, dopo una
visita ai locali della Senavra, trovò che fossero troppo oscuri e umidi perfino
per dei pazzi e ordinò, così, di aprire delle piccole finestre e di rialzare i
pavimenti.
Nel prossimo articolo vedremo come questa struttura diverrà sempre più
inadeguata, obbligando così le autorità ad una conversione dell'uso
dell'edificio.